Storia di dignità e dissenso, la dignità dei poveri, fatta di lavoro, fatica e rebeldìa. La storia di Paskedda Selis Zau, che al grido di “Torramus a su connottu”, guidò nell’aprile del 1868, l’assalto al municipio di Nuoro, durante la rivolta contro la legge che metteva all’asta le terre comuni, esce dal cono d’ombra di silenzio grazie al libro omonimo di Gianluca Medas, in libreria per i tipi di Abba Editore. Storia negata, storia dimenticata. Storia da scrivere, quella delle donne. E siccome Gianluca Medas è uomo di teatro, oltre che appassionato studioso di storia sarda, la storia di Paskedda si pone sulle orme di Romano Ruju, protagonista del dramma portato in scena dal Teatro di Sardegna, nell’epica regia di Gianfranco Mazzoni, anno 1975, e la racconta alla maniera di Marco Paolini e Marco Baliani. Attori-autori che animano le cronache locali, dando vita ai personaggi popolari e alle loro testimonianze.
Il racconto dei fatti e delle circostanze disegnano “una cartina emozionale” che staglia il personaggio di Paskedda nella prospettiva della storia sarda, vagabondando nel tempo tra la dominazione spagnola e quella dei Savoia, di cui si narra il desiderio «di trasformare questa terra in un magazzino di provviste per i loro progetti economici, il fastidio ideologico per il pensiero comunitario, eredità del retaggio giudicale, il conflitto col nuovo e irreversibile pensiero della proprietà perfetta come strumento di sviluppo». Ma anche storia di una borghesia isolana che «barattò la propria primogenitura per un piatto di lenticchie, al tempo in cui si credette che entrare nel mercato del “continente” fosse più importante che conservare le proprie specificità e istituti autonomi». E se le radici del senso della proprietà sono nella Carta del Logu, il fantasma di Paskedda diviene testimone muto, convitato di pietra al tribunale della storia, fin dalle guerre di successione, e, nel nome di Bloch, Braudel e Le Goff, tanto basta per cambiare prospettiva alla Storia.
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«La presenza dello sguardo di Paskedda all’interno della storia ha un senso perché ogni fatto è causa e conseguenza nello stesso tempo sia per i grandi che per i senza nome». Così il merito di Medas è quello di illuminare di mini racconti e brevi biografie la condizione delle donne e del popolo al tempo delle chiudende, a cominciare dalle poche notizie su Pasqua Selis Zau, nata a Nuoro nel 1808, andata sposa nel 1828 «a un porcaro che le fece sputare al mondo dieci figli» coi quali la lasciò vedova nel 1856, a quarant’otto anni. La figura di Paskedda rivive nel racconto di Medas come testimone di altre biografie illustri: il canonico Spano e Giovanni Maria Angioy, ma anche i poeti improvvisatori, un controcanto che costituisce il commento corale, secondo i canoni del tardo ottocento. E insieme ai personaggi arrivano i capitoli dedicati ai fatti: la pressione fiscale dei Savoia e le ribellioni dei sardi, il disprezzo dei piemontesi per quelle genti che consideravano selvagge e misere, sullo sfondo dell’ascesa del Terzo Stato dalle ceneri della Rivoluzione francese. La legge sulle Chiudende ci è riconsegnata nei versi di Melchiorre Murenu «tanca serradas a muru/ fattas a s’afferra afferra/ sui su chelu fit in terra/ lu dizin serrare puru” (Tanche chiuse con il muro/ottenute arraffa arraffa,/ se il cielo stesse in terra/ anche quello vi sareste chiuso»).
Perché merito di Medas è quello di ricucire la storia locale attraverso le parole dei poeti in lingua che furono parroci dimenticati, cantori ciechi che alle ottave consegnarono la memoria soprusi e corruzioni. Fino al giorno della “Passio de su connottu”, il giovedì santo del 1868 in cui Paskedda, uscita dalla messa, guida la rivolta di quanti assaltarono il municipio di Nuoro e bruciarono in piazza i documenti con la lista delle terre comuni da vendere all’asta, al grido di “Torramos a su Connottu”. Terre del villaggio che garantivano dignità ai poveri riconoscendo loro diritti secolari di pascolo, legnatico e ghiandatico.
Le conseguenze furono arresti e condanne, cancellati infine dall’amnistia. Nel 2019 il comune di Nuoro ha dedicato a Paskedda una targa e una via, proprio di fronte al rudere di palazzo Martone: «A Paskedda che voleva il pane e le rose», dove – come dice Angela Azzaro nella prefazione, «il pane sono le terre senza le quali Paskedda e tutti quelli come lei che vivono del proprio lavoro morirebbero, e le rose che sono la forza di quel gesto: una donna, piccola e sola, che sa sfidare le istituzioni per rivendicare ciò che era suo». Una storia che senza le donne non è vera storia, come ricorda la post fazione di Susi Ronchi, «perché ogni donna che lotta per se stessa lotta per tutte le donne. Lotta per l’intera umanità». Una storia con molti capitoli ancora da scrivere.
Fonte notizia: La Nuova Sardegna > Homepage
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