SASSARI. Nel mondo globalizzato l’autarchia è ancor più illusoria di quanto poteva essere 80 anni fa. Ma l’altra faccia dell’autarchia, la completa dipendenza dall’esterno, è ugualmente una prospettiva poco allettante. Ce ne stiamo accorgendo in queste settimane angosciose nelle quali l’Europa riscopre la parola “guerra” e l’Italia, ma ancor più la Sardegna, si trovano a fare i conti con la necessità di attendere dall’esterno prodotti e beni di prima necessità.

E le dipendenze della Sardegna sono numerose e riguardano molti settori. Lo spiegano bene i dati sul commercio estero elaborati dalla Regione su base Istat. Si tratta di dati relativi al 2020: il Covid potrebbe aver modificato qualcosa, ma il complesso delle informazioni fornisce comunque un quadro attendibile dell’importanza di ciò che arriva dall’esterno per il funzionamento dell’isola.

Il primo dato che si può rilevare è il saldo tra importazioni e esportazioni: nel 2020 la Sardegna ha importato per un un valore di 4.901,2 milioni di euro e ha esportato per 3.359,7. Dati in sensibile calo rispetto al 2019 quando l’import aveva avuto un valore di 7.626,1 milioni e l’export di 5.646,3.

Petrolio greggio e gas. Queste cifre vanno depurate da un elemento importante. Infatti tutte le analisi sul import-export sardo lo fanno: togliere dal conto complessivo le cifre relativa a petrolio, gas, coke e prodotti derivanti dalla raffinazione del petrolio. Con questo nuovo criterio i dati assoluti precipitano: l’import scende a 1.506,4 milioni e l’export a 937,8.

Il bilancio resta comunque in rosso. E lo scorporo fa capire quanto sia importante la parte della commercializzazioni di prodotti petroliferi per l’isola. Il dato è influenzato dalla presenza nell’isola della raffineria della Saras.

Nel 2020 la Sardegna ha importato petrolio greggio e gas naturale per un valore di 3.139 milioni di lire. Per la maggior parte dall’Asia (1.918) e dall’Africa (1.097).

Una miniera. La seconda voce per importanza delle importazioni sarde è quella dei minerali metalliferi. Nell’isola ne sono arrivati per un importo pari a 261,4 milioni. La fetta più grossa arriva dalle Americhe (168,7), poi dall’Europa (54,6) e quindi dall’Africa (32,2).

Sulla tavola. Cibo, bevande e fumo sono altre voci importanti della bilancia commerciale isolana. Infatti nella categoria prodotti alimentari, bevande e tabacco è arrivato nell’isola l’equivalente di 238,4 milioni di euro. 127,8 milioni dall’Europa, 57,7 dall’Asia e 30,4 dalle Americhe.

Metallari. Tutt’altro che trascurabile è la richiesta di metalli di base e prodotti di metallo (esclusi però macchine e impianti). Il conto per rifornirsi di queste merci per l’isola nel 2020 è stato di 163,2 milioni di euro. Si tratta, quasi esclusivamente di forniture europee: 148 milioni. Dalle Americhe ne sono arrivati per quasi 13 milioni, dall’Asia per 2,2.

Campi, boschi e mari. Alla voce “prodotti dell’agricoltura, della silvicoltura e della pesca” per la Sardegna c’è stato un impegno di 162 milioni di euro. Anche in questo caso il maggiore apporto arriva dall’Europa con 125,9 milioni. Meno dalle Americhe (32,5).

Alambicchi e provette. Sopra quota 100 milioni c’è anche il valore delle importazioni i sostanze e prodotti chimici che, sempre nell’anno 2020, per la Sardegna è stato di 155,1 milioni, di cui 141,5 provenienti dall’Europa.

Macchinari e automezzi. Sulla bilancia commerciale sarda, nel piatto “importazioni” hanno pesato anche i 66,5 milioni di macchinari e apparecchi, i 58,5 per mezzi di trasporto, i 21,2 per computer, apparecchi elettronici e ottici, i 16,5 di apparecchi elettrici, i 61 di prodotti tessili, abbigliamento, pelli e accessori, i 35,9 di articoli di gomma e materie plastiche e altri prodotti della lavorazione di minerali non metalliferi, i 29 di altre attività manifatturiere.

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