SASSARI. Un silenzio fastidioso. I passi di una persona rimbombano lungo la strada in penombra illuminata a malapena dalla spettrale luce arancione irradiata dai brutti lampioni dell’illuminazione pubblica che con l’architettura di un centro storico non c’entrano nulla. Silenzio e senso di abbandono. Camminare lungo le strade e i vicoli del centro in una serata d’inverno appena fa buio incute tristezza. Una passeggiata in centro intorno alle 19 e non a notte a fonda è come un viaggio in una città fantasma. In America le ghost city sono quelle città costruite dai cercatori d’oro e poi abbandonate. A Sassari è successo qualcosa di simile, nel cuore della città c’era qualcosa di ancora più prezioso dell’oro e che purtroppo si sta perdendo: la vita. I lavori per i sottoservizi sono stati utili ma il tempo per realizzarli è stato troppo lungo e molti abitanti e operatori commerciali si sono arresi.
C’era una volta via Università. Un tempo neppure troppo lontano nella via c’erano cinque negozi di alimentari, tre negozi di frutta e verdura, quattro macellerie, due pescherie, due negozi di scarpe, tre di abbigliamento, un ottico, un negozio di regali e uno di abbigliamento per bambini, un orologiaio, due barbieri, un negozio di mobili, uno di elettricità, uno di ferramenta e un bar. Il viaggio comincia proprio da qui, arrivando da Porta Nuova, uno degli antichi ingressi della città, di fronte ai Giardini pubblici. Piazza Università è un grande parcheggio disordinato ricavato esclusivamente per far quadrare i conti del numero degli stalli ceduti alla società spagnola che ha in piazza Fiume e all’emiciclo Garibaldi e che, in attesa di ottenere le autorizzazioni per il terzo posteggio sotterraneo, si accontenta di fare cassa in tutto il centro. In piazza Università, proprio all’inizio dell’omonima via, c’era una libreria storica: Li.Sa.C. (Libreria Sacro Cuore). Ora c’è un colorato bazar bengalese. Di fronte, proprio all’inizio della via c’è una parafarmacia che sta soffrendo la drammatica situazione di abbandono. Lì una volta sorgeva un negozietto di alimentari, Maini, che tra l’altro vendeva i gustosi “croccanti” e le coloratissime giuggiole. Qualche metro più su, camminando verso largo Ittiri, sulla destra resiste la gioielleria e bottega di arte orafa di Roberta Russo e Marzio Mamberti. A sinistra c’era un tempo la piccola trattoria-bar di Poddie. Con il passare del tempo i proprietari avevano ampliato le attività e aperto un negozio di mobili ed elettricità. Ora non c’è nulla. Di fronte c’è uno degli “ultimi dei mohicani”, uno dei pochi operatori commerciali che hanno resistito: Mangatia è ormai un marchio conosciuto, l’attività gestita adesso da Pinuccio è stata avviata dal nonno Pietro e continuata dal padre Gavino. Davanti a lui, all’angolo con via Casalabria c’era fino a una quindicina d’anni fa una latteria: il padre Antoneddu e poi il figlio Pier Paolo vendevano latte fresco e yogurt. Salendo sulla sinistra c’era un calzolaio. E di fronte un negozio di oggettistica e antiquariato dove ora c’è un giovane bengalese, Shonel, che si è ben inserito e partecipa alle attività della via.
Serrande chiuse. Da lì in poi serrande chiuse fino alle Quattro Cantonate, il famoso incrocio tra via Università e via Turritana, dove un tempo si trovava di tutto. Ogni serranda e portone chiusi nascondono piccole storie commerciali: una macelleria (Mario e Lina, che aprirono anche una delle prime scuole di ballo di Sassari in vicolo Sassu), un negozio di alimentari con alti scaffali in legno e la pasta di ogni tipo sistemata in grandi cassetti che veniva venduta sfusa a etti. E poi un negozio di frutta e verdura all’incrocio con via Capo d’oro. In una delle cantonate, dove ora c’è il bar, aperto poco tempo fa con grande coraggio dai fratelli Fabrizio e Massimo Leoni, c’era una pescheria conosciutissima: Rais. Di fronte, la tabaccheria. Ha resistito a tutte le intemperie, ha cambiato gestione (da Giola a Biasetti) ma è sempre un punto di riferimento della zona. Nell’altra cantonata c’è una vera e propria istituzione: il negozio di frutta e verdura Delrio. L’aveva aperto oltre 60 anni fa signor Giovannino e ora lo gestiscono i figli Angela e Tore. Nell’altra cantonata c’è stata prima una macelleria e poi un calzolaio: ora c’è invece una serranda sgarrupata. Continuando la passeggiata sulla destra c’è un portone in legno ma per lungo tempo quel locale aveva ospitato la mitica pasticceria di Antonello Pistidda, grande giocatore di calcio, nella scomparsa Sandoriana, la squadra del quartiere fondata dall’indimenticabile Mario Pilo. La pasticceria sfornava soprattutto grandi “pesche di dolce” rosse che gli studenti venivano ad acquistare all’ora della ricreazione. Poco più su c’era un piccolo negozio di alimentari e poco dopo un bar gelateria. Di fronte un’erboristeria ma prima ancora un barbiere: Giovanni, che ha tagliato capelli a tantissimi sassaresi . Risalendo via Università si trova sulla sinistra il circolo enogastronomico “Mangio da nonna” gestito da Luciano Cadeddu, ma lì prima c’era il negozio di abbigliamento di Vittorio e poi la rivendita di prodotti biologici di Lorena. Nella serranda chiusa e trasformata in garage c’era invece un bravissimo orologiaio: Mario Piras. Dopo il circolo c’era un antiquario. E poco più su il negozio di ferramenta “Meledina”, che per qualche tempo ha ospitato due diversi laboratori di sartoria e poi la Biblioteca popolare dello sport. Ora è tutto chiuso. Continuando verso largo Ittiri, sulla sinistra c’era un negozio di abbigliamento che vendeva soprattutto cravatte e poco più su il negozio di frutta e verdura di signora Maria e della figlia Pinuccia. Di fronte c’erano il negozio di scarpe “Chessa” e in un angolo del vicolo chiuso c’era un grande negozio di abbigliamento con proposte alla moda e di cui è rimasta solo l’insegna: Linea 47. Nell’altro angolo la latteria di signora Nunziatina, la macelleria di carne di cavallo di Carmine e il negozio di regali di signor Tonino.
La resa dei bengalesi. Fino a pochi giorni fa questi locali erano occupati da commercianti bengalesi e pachistani, ma anche loro sono stati costretti alla resa. Di fronte sono chiuse da tempo le serrande di quello che era stato un negozio di abbigliamento per bambini mentre è aperto un negozio di abbigliamento da donna, nell’angolo a destra c’era fino a pochissimo tempo fa una panetteria dove ha operato per decenni il negozio di alimentari di signora Francesca. Mentre nell’angolo a sinistra, dove resiste ancora un bazar di bengalesi, c’era la famosa pescheria di signora Antonietta. Subito dopo l’incrocio con via Munizione Vecchia e via dell’Insinuazione c’erano: a sinistra la macelleria Mulas e a destra un fioraio e poco più su un negozietto di tessuti. Prima di arrivare in largo Ittiri, sulla sinistra c’era stato un barbiere e sulla destra due negozi dell’ottico Bibi Agri, chiuso dopo la sua scomparsa prematura.
Un atto d’amore. Questa era via Università non più di 20 anni fa. Qualcuno ha anche provato a riaprire un’attività, ma con il passare del tempo e il declino della via è stato costretto alla resa. Le voci della pescivendola, quelle delle venditrici di lumache e di quelli che vendevano bietole, il rumore della sega elettrica della grande falegnameria di mastro Dante in largo Pazzola, le grandi arrostite in via Araolla, le partite di calcio dei bambini nel patio del vicolo chiuso, le interminabili discussioni il lunedì mattina sulla partita della Torres sono ricordi che si porta dentro solo chi ha vissuto quei tempi. Una desolazione che può essere sconfitta in un solo modo: con l’amore per la città, il centro storico e soprattutto per il bello. Perché quello che ora è decadente potrebbe diventare bellissimo se solo lo si volesse.
Fonte notizia: La Nuova Sardegna > Homepage
URL originale: Read More