Che la situazione stesse iniziando a sfuggire di mano si era capito già una decina d’anni fa, quando tra i media rimbalzava la notizia della nuova moda in voga tra i giovani frequentatori della movida romana, ossia quella di spararsi uno shottino di vodka negli occhi per sballarsi. Per chi ancora non avesse ben compreso che cosa si intende per “sballo”, basta che immagini il proprio figlio o la propria figlia in uno stato di particolare eccitazione temporanea della mente e del corpo. Una di quelle alterazioni estreme che portano a perdere il controllo, contezza di sé e del mondo, che conducono a situazioni pericolose, stupide, violente e illegali. Lo sballo è bello, lo sballo è figo, anche se ci scappa il coma etilico; se non ti sballi di alcol in compagnia non fai parte del gruppo, sei un perdente, uno che non sa vivere e godersi le serate. Birra e super alcolici buttati giù come fossero acqua per poi sragionare, scatenare risse colossali in centro, accoltellamenti, stupri subiti e messi in atto, vandalismo, incidenti stradali, aggressioni alle forze dell’ordine.
È possibile che gli adolescenti arrivino a bere per superare problemi e insicurezze? Togliamoci dalla testa questa idea ingenua e semplicistica.Per una generazione che si è sbarazzata di regole e disciplina, che non riconosce più principi morali e autorità, per cui giusto e sbagliato si mischiano in un concetto molto relativo, l’unico punto fermo è superare il limite: faccio quello che voglio, bevo perché tenere una bottiglia in mano è cool e mi dà coraggio, perché il sabato sera tutto è possibile, bevo perché così le bravate mi riescono meglio, perché ragionare pensieri sensati costa fatica e noi vogliamo solo divertirci. Divertimento sempre, anche a costo di morire.
Lo stato di ebbrezza ha una naturale prosecuzione anche nelle ore di sobrietà perché per un ragazzino minorenne che non ha il lobo frontale (la parte del cervello deputata alla capacità di giudizio adulto e alla volontà) del tutto formato, la realtà immaginata durante lo stordimento alcolico finisce per confondersi con la verità della vita quotidiana in cui è richiesta misura, concretezza e responsabilità. Altrimenti come spiegare il caso del quindicenne che in provincia di Firenze ha puntato una pistola – finta – alla tempia del professore a mo’ di minaccia per le troppe note ricevute, tra le risate dei compagni che subito si sono affrettati a postare il video in rete: «era uno scherzo», si è giustificato, e si capisce che ogni confine è stato ampiamente superato.
È inutile attribuire tutte le colpe ai venditori di alcolici: proprio ieri ho visto due adolescenti che provavano a comprare liquori al supermercato, alla richiesta della cassiera dei documenti che attestassero la maggiore età i due se la sono svignata, il tentativo è andato a monte, ma da che mondo è mondo l’ostacolo si è sempre aggirato demandando l’acquisto a qualche amico maggiorenne. Le famiglie possono vigilare, dare il buon esempio, ma posto che non avranno mai il controllo totale della vita che il figlio conduce fuori di casa, occorre mettere in conto che la formazione delle giovani personalità passa anche attraverso i canali di intrattenimento a cui hanno regolarmente accesso fin dalla più tenera età.
E allora, è vero che l’assunzione di alcolici fino alla dipendenza è una costante di innumerevoli serie tv dedicate ai ragazzi, di reality come Jersey Shore (serate in disco, si ubriacano fino a vomitare, fino al degrado completo di se stessi), e libri young adult (vendono milioni di copie e raccontano storie sentimentali ambientate nei college americani tra pestaggi clandestini e protagonisti perennemente ubriachi). Come possiamo sperare di arginare questo fenomeno se l’educazione dei nostri figli viene oramai affidata ai social? È il male dei nostri tempi: basta uno smartphone in mano e la diseducazione può avere inizio.
Fonte notizia: La Nuova Sardegna > Homepage
URL originale: Read More