La politica italiana – con poche eccezioni – ci ha abituato alla DAD. Non mi riferisco alla didattica a distanza di cui tanto si è parlato in questi anni di pandemia, bensì a quella meno nota, se non agli studiosi dei fenomeni politici.
Una DAD che rinvia a un modo di far politica che ha il seguente iter: Decidere Annunciare Difendere. Si tratta di una modalità di intendere il governo della società che procede dall’alto verso il basso (meglio nota come logica top-down). In Italia, le pratiche politiche che si basano su logiche bottom-up (dal basso verso l’alto) e che rientrano nell’idea del “governare insieme”, sono in buona misura ignorate, non ultimo perché al fondo c’è un pensiero del tipo ‘non disturbate il manovratore’. Ciò vale per la politica, ma ahimè anche per tutte le sfere pubbliche dove si esercita un qualche potere.
Eppure, gli effetti perversi del Decidere Annunciare Difendere sono sotto gli occhi di tutti e sono anche una ragione del fatto che la maggioranza della popolazione ormai non si occupa più della ‘cosa pubblica’, che altro non è che la dimensione più nobile della politica. Perché faccio questo preambolo? Per affrontare alcuni problemi legati all’annuncio che in Sardegna si costruiranno quattro nuovi ospedali e che la città di Sassari sarà la prima ad averlo.
Vado con ordine. Anzitutto di nuovo ospedale nel capoluogo del Capo di Sopra si parla da anni, insieme però al completamento delle strutture esistenti.
Completamento che, come si sa, procede assai lentamente, come d’altronde avviene per tante altre opere pubbliche. È come se queste opere, che dovrebbero essere al servizio della collettività, fossero del tutto separate dal naturale ciclo di vita degli esseri umani. Come reagiscono i cittadini a questi annunci? Con disincanto, perché consapevoli che comunque non serviranno a risolvere i loro problemi quotidiani. La politica si preoccupa di ciò? No, perché attorno agli annunci delle opere pubbliche, qualunque sia la tipologia e al di là dell’effettiva realizzazione, si sviluppano interessi in relazione sia alle aree che potrebbero essere coinvolte, sia ai finanziamenti che potrebbero iniziare a circolare nel territorio. Quindi, per i proponenti verrebbe raggiunto un risultato immediato, quello elettorale, ovviamente che prescinde da quel che accadrà successivamente.
In secondo luogo, questi annunci raramente sono accompagnati dal preliminare coinvolgimento dei diretti interessati – ad esempio, al sofferente personale sanitario si è chiesto se l’edilizia sia per loro una priorità? –, oltre che da certezza dei finanziamenti e da una altrettanto certa quantificazione. Per cui in soldoni potremmo sapere quanto realisticamente costerebbe il nuovo ospedale e in quanto tempo verrebbe costruito?
In terzo luogo, quasi tutte le opere, con l’eccezione del ponte di Genova, hanno avuto tempi biblici di realizzazione e costi ben superiori da quelli annunciati. Quante incompiute ci sono in Italia? Migliaia. In una graduatoria stilata lo scorso anno la Sardegna si collocava al secondo posto tra le peggiori, dopo la Sicilia, con 86 incompiute. Di queste incompiute quante sono state depennate dalla bad-graduatoria? Sono certa che a questa domanda mi si potrebbe rispondere ‘è la burocrazia che rallenta e impedisce’. Ma non è proprio la politica ad essere deputata a semplificare, senza trascurare il fatto che la corruzione in Italia è sempre alle porte?
In quarto luogo, poiché la pandemia ci ha insegnato che è necessario riformare profondamente la sanità territoriale, si è pensato che un nuovo ospedale avrebbe senso solo a condizione che si inserisca in un rapporto armonico tra sanità territoriale e sanità ospedaliera?
Queste sono solo alcune domande alle quali se ne potrebbero aggiungere altre, ad esempio quelle connesse al bacino d’utenza, visto l’inesorabile declino demografico. Insomma, la nostra sanità ha davvero la necessità di costruire nuovi ospedali, oppure i problemi sono altri?
Fonte notizia: La Nuova Sardegna > Homepage
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