CAGLIARI. Il campionato di serie B lo conosce come le sue tasche. Col Cagliari otto anni fa ha ottenuto la promozione. È l’allenatore che ha conquistato il miglior piazzamento (11°) e il maggior numero di punti (47) da quando i rossoblù sono tornati in serie A. Massimo Rastelli è soprattutto uno studioso della cadetteria. In Sardegna ha lasciato un pezzo di cuore. La definisce la sua seconda casa e appena può, prende un aereo e va a trovare i tanti amici che ha lasciato nell’isola. Ha vissuto con dolore la retrocessione e in questa intervista fa trasparire la nostalgia per gli anni vissuti nel capoluogo.
Cagliari retrocesso in B, che effetto le fa?
«Sono dispiaciuto. Ho rivisitato con la memoria il film della nostra cavalcata vincente di qualche anno fa e quanto sia difficile vincere un campionato stressante come la B».
Sia sincero, non se lo sarebbe mai aspettato.
«Credo nessuno potesse prevedere una stagione così povera di risultati. Con quell’organico salvarsi era un obbligo. Il girone di andata è stato molto negativo. L’unico periodo nel quale la squadra ha espresso il suo vero potenziale è stato tra gennaio e febbraio. Quello che è successo dopo è incomprensibile. Forse è statp pagato lo sforzo per la lunga rincorsa. Non vincere a Venezia è stato il finale di un anno davvero orribile».
C’è una spiegazione?
«Quando un organico non rende al massimo delle sue potenzialità, vuol dire che all’interno ci sono delle problematiche. Quali? Dall’esterno è proprio impossibile dirlo».
Meglio non cercare colpevoli e programmare il futuro?
«Ho vissuto la stessa situazione otto anni fa, quando sono stato scelto per riportare il Cagliari in A. Degli errori si fa tesoro. Bisogna ripartire con entusiasmo, creare un progetto chiaro. Il segreto sta nel capire su quali uomini puntare. Sicuramente su quelli che hanno il fuoco dentro e restano volentieri. Con me è successo così. Chi è scontento finisce col minare il lavoro dell’allenatore e dei compagni».
I tifosi sembrano avere paura del futuro.
«La preoccupazione è comprensibile. In questi ultimi anni hanno sentito parlare di ambizioni ma poi sono arrivate salvezze sofferte. Questo incide sul loro umore. Capiscono e sanno che questa retrocessione è dolorosa. E sanno che la serie B è durissima con almeno 8-9 squadre che punteranno alla promozione diretta. Sta alla società presentare un progetto chiaro».
Il Cagliari ha le potenzialità per imitare società come Atalanta e Udinese?
«Dico sì perchè ho vissuto dentro quella società e conosco le dinamiche. Io immaginavo quel tipo di percorso dopo la promozione. Il primo anno di serie A abbiamo fatto bene. Undicesimo posto, segnato tanti gol, su quella base potevamo migliorare. Quel percorso non è mai stato apprezzato totalmente, poi si è interrotto. C’era, comunque, quel tipo di ambizione».
Come si fa a vincere il campionato di serie B?
«Serve unità d’intenti e rispetto dei ruoli. Tutti devono lavorare in piena autonomia e il confronto deve essere leale, schietto. Quando c’ero io è stato così. Se mancano questi presupposti i risultati non arrivano».
I ricordi di quella stagione?
«Per me il coronamento di un percorso iniziato dalla C2. Ho vissuto quella esperienza con grande entusiasmo. Era la occasione per spiccare il volo».
Con chi ha stretto il legame più forte?
«Sicuramente con il medico Bobo Mura. Ma anche col presidente Giulini e il ds Capozucca. Dopo l’esonero ci siamo sempre sentiti. Fuori dal calcio ho tanti amici in Sardegna. Cito Lallo e suo figlio Giuseppe di Aritzo. Due anni fa sono stato quasi un mese in Sardegna, mi hanno fatto conoscere posti magnifici».
Il segreto per vincere?
«La ferma volontà della società tutta, di riportare il Cagliari in serie A. C’era una motivazione enorme. Io ho alimentato questo fuoco ogni giorno».
Quello cadetto è un campionato davvero duro?
«Il prossimo sarà molto più complicato. Quando abbiamo vinto noi c’erano 4-5 squadre che puntavano alla promozione, la prossima stagione saranno il doppio».
Conta di più lo spirito agonistico della tecnica?
«Il torneo Si è livellato verso l’alto negli ultimi anni. Si gioca un bel calcio, c’è molta qualità nei singoli e tecnici con idee. Agonismo e determinazione, però, restano fondamentali».
Allora c’era una base da cui ripartire, oggi forse no perchè saranno in tanti ad andare via.
«Il primo obiettivo deve essere la scelta del gruppo da cui ricominciaree su quello costruire tutto il resto».
Meglio puntare su un allenatore giovane o uno esperto della categoria?
«Non c’è una ricetta precisa. Contano altri valori, soprattutto le motivazioni. L’importante è poter lavorare in autonomia».
Ha sempre detto che in Sardegna si sente a casa.
«Non c’è dubbio. Quando vengo a Cagliari provo una sensazione di benessere. Il cordone ombelicale non l’ho mai mai tagliato e negli anni il legame si è rafforzato».
Chi viene in Sardegna spesso se ne innamora, perchè?
«Una regione bellissima. Ho avuto il piacere quando non ero più allenatore di vedere posti paradisiaci, sia sul mare che nell’entroterra».
Dalle sue risposte traspare un senso di nostalgia. E’ così?
«Quando in un posto stai bene è normale».
Se il presidente Tommaso Giulini la richiamasse…
«Darei la mia totale disponibilità. Se ha bisogno… ».
Fonte notizia: La Nuova Sardegna > Archivio
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