La pandemia aveva messo l’Isola delle storie in standby. Il mondo si era fermato e anche il più suggestivo festival della letteratura dell’isola – e non solo – si era preso una pausa. Per due anni Gavoi ha atteso il ritorno di quella comunità che dal 2004 ogni estate si ritrovava tra le strade e le case di granito del centro storico. Ora quella data c’è: il 1 luglio riparte il festival ideato da Marcello Fois. Tre giorni di incontri, laboratori, confronto, umanità.
Fois, quanto ha sofferto in questi due anni?
«Mi è mancato molto. Ogni anno dico basta – fare Gavoi è una fatica immane organizzativa, relazionale, politica – ma poi non lo faccio mai. Per una serie di questioni affettive, ma anche di riconoscenza nei confronti di questo territorio che ha reso possibile tutto».
Che edizione sarà?
«Sarà una specie di edizione multipla, perché ufficialmente sarà la numero 17, 18 e 19. Sarà anche leggermente più breve perché abbiamo dovuto fare fronte alla riorganizzazione, anche interna, di tutto il festival. Ma come al solito ci sarà molta attenzione alla qualità. Sarà dedicata a Giorgio Todde, il nostro primo presidente: un pezzo di Gavoi, che ha contribuito a disegnarlo, a farlo diventare ciò che è diventato».
La serata inaugurale vedrà la presenza di David Leavitt.
«Abbiamo deciso di aprire con una presentazione internazionale, con un autore della nostra gioventù. “La lingua perduta delle gru” fu una piccola rivoluzione che molti della nostra generazione ricordano. Ma sarà anche un’edizione molto attenta alla presenza femminile. Non perché ci interessano questioni di genere in quanto tali, ma per un dato educativo: pensare alla quantità di rappresentanza non è un obbligo ma un dovere, senza forzare le cose. La presenza femminile è fortissima ed enormemente qualificante: Gualtieri, Postorino, Pitzorno, Valerio, Bignardi, Lipperini, Medel, Lamberti».
Ci sarà anche spazio per Grazia Deledda.
«Certamente, visto che nella mia persona convivono il direttore dell’Isola delle storie e il presidente della commissione ministeriale per le celebrazioni deleddiane, dedicheremo tutte le letture a Grazia Deledda. Saranno solo sue, tutte degli epistolari: è bellissimo conoscere gli autori attraverso quello che scrivono».
Come sono stati questi due anni dal punto di vista culturale?
«Credevo avrebbe potuto migliorarci ma non ne sono più così sicuro. Anzi, la pandemia ci ha incarogniti ancora di più. Si è registrato un peggioramento, anche sotto l’aspetto della violenza con cui si trattano gli argomenti. Mi auguro di riportare a Gavoi la tradizione di persone che si scambiano opinioni, di una comunità che ragiona, sta insieme, condivide sempre con passione e civiltà. Ci serve ritornare a questo tipo di rituali. In questi due anni ho deciso di fermare Gavoi perché era impossibile riproporlo a distanza».
Da sardo che vive a Bologna, e dunque da osservatore, come giudica la situazione culturale nell’isola?
«Piuttosto stagnante, ma come vedo l’attività generale dell’isola. Non solo dal punto di vista culturale, ma anche politico. È una condizione non facilmente leggibile, ma si assiste a una palese immobilità. Ne avevo scritto anche qualche tempo fa, ma non vedo sviluppi, per cui credo che questo sia un tempo tremendo in cui ognuno prova a mantenere le posizioni acquisite. Non so bene però quanto potrà durare».
Di chi sono le responsabilità di questo immobilismo?
«Sono difformi. Anche da parte di chi ci governa riceviamo segnali di assoluta impotenza, inabilità. E anche chi potrebbe fare qualcosa non lo fa. Non c’è alcun tipo di sostegno a qualsiasi esperimento. Gli intellettuali parlano, quello fanno nella vita, elaborano questioni. Certo, anche i festival possono aiutare a migliorare la situazione, ma c’è bisogno di sostegno. La cultura è un esercizio che va sostenuto. Sostenere quello che funziona non è un atto politico, bisogna aiutare quello che non ce la fa da solo. Invece questi fanno piovere sempre sul bagnato. Oggi mi sembra che la Regione sia più attenta al folk che alla cultura».
Tre libri da leggere sotto l’ombrellone?
«Suggerirei innanzitutto uno strano romanzo su un Dracula dei nostri giorni, “Così per sempre” di Chiara Valerio. Poi “Donna con libro” di Bianca Pitzorno. E infine “Qual maledetto Vronskij” di Claudio Piersanti, una storia che ha un collegamento con Anna Karenina, uno dei romanzi per me fondamentali».
Fonte notizia: La Nuova Sardegna > Homepage
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