Un romanzo d’azione, una storia d’amore ambientata durante la Seconda guerra mondiale, un omaggio appassionato al Mediterraneo e alla sua civiltà millenaria. È tutto questo il nuovo libro di Arturo Pérez-Reverte, in uscita oggi per Rizzoli, e di cui Cattleya ha già acquistato i diritti per farne una miniserie Tv. “L’italiano” racconta le incursioni compiute, tra il 1942 e il 1943, dai sommozzatori italiani della Squadriglia dell’Orsa Maggiore, un commando della X Mas, in sella ai “maiali”, i siluri a lenta corsa, contro le navi alleate a Gibilterra e nella baia di Algeciras. Lo scrittore di Cartagena, autore di bestseller tradotti in tutto il mondo (tra cui “Il club Dumas”, “La tavola fiamminga”, “La pelle del tamburo”) e a lungo inviato di guerra in Libano, Nicaragua, Bosnia e altre zone roventi, lo presenta in anteprima al festival “Dall’altra parte del mare”: domani a Nuoro (alle 18.30 all’Isre, intervistato da Marcello Fois, in collaborazione con il festival L’isola delle storie e l’associazione Priamo Gallisay) e giovedì ad Alghero (alle 19 a Lo Quarter, con Bruno Arpaia).
È vero che la prima idea per “L’italiano” l’ha avuta quando da bambino vide al cinema con suo padre “I due nemici” con Alberto Sordi e David Niven?
«Sì, perché all’uscita mio padre mi disse che gli italiani nella Seconda guerra mondiale non erano tutti come vengono descritti in quel film. E che nonostante l’Italia fosse governata da un regime fascista e disorganizzato, molti si comportarono con valore».
Quindi ha deciso di demolire lo stereotipo degli italiani codardi e “macaroni”, come vengono chiamati con disprezzo dagli inglesi nel romanzo?
«Le parole di mio padre mi sono rimaste in testa e così mi sono dedicato a raccogliere materiale, sia letterario che visivo, sugli uomini valorosi. E ne ho trovato molto. Per esempio nei libri di Curzio Malaparte. Poi, comunque, ho sempre avuto un rapporto stretto con l’Italia. Sono nato a Cartagena, una città con tremila anni di storia, una città cartaginese e romana, in stretto rapporto con il mondo classico. Per me andare in Italia è come andare a trovare i cugini, riconosco la mia stessa memoria».
Nel suo libro, gli eroi sono gli incursori della X Mas, associata nella memoria nazionale al periodo buio del regime fascista. Cosa pensa del politicamente corretto, che vorrebbe che certi argomenti fossero tabù?
«Nei miei romanzi cerco sempre, per quanto possibile, di demolire il politicamente corretto, perché non è compatibile con la letteratura. Sicuramente la X Mas durante la Repubblica di Salò commise delle vere e proprie atrocità, ma i fatti che racconto nel libro, i sommozzatori che attaccavano a Gibilterra, Malta, Alessandria, sono precedenti e trovo davvero ingiusto che l’Italia dimentichi il loro coraggio».
Uno di questi è il protagonista del romanzo, Teseo Lombardi, che ha lo stesso nome di Teseo Tesei, l’inventore del siluro chiamato in gergo “maiale”.
«Il nome è un omaggio a Tesei, che fu l’anima del gruppo di sommozzatori italiani, e che morì durante l’attacco a Malta. Ma il nome Teseo mi piace anche perché l’eroe del mito entra nel labirinto del Minotauro, e i sommozzatori dell’Orsa Maggiore entrano nel labirinto del mare, e nelle fauci dei nemici».
E poi c’è Elena, la donna di cui si innamora Teseo, cresciuta nel mito dell’eroe classico e della cultura antica.
«C’è una cosa importante da dire, ed è anche il fulcro del romanzo. Teseo non dice niente di intelligente in tutto il romanzo, è solo un uomo d’azione, attraente, che le circostanze hanno spinto in guerra. È lo sguardo lucido di una donna colta che, guardandolo, proietta in lui tremila anni di memoria culturale mediterranea».
A proposito di Mediterraneo, ha ancora un ruolo negli equilibri mondiali dal punto di vista politico e culturale?
«Se c’è una cosa che deploro è il fatto che l’Italia, la Spagna, la Grecia, guardino più verso il Nord che verso i paesi vicini e che non sia riuscite a creare un movimento comune a livello geopolitico. Il Mediterraneo è stato la culla di tante cose che spesso vengono disprezzate dalla gente del Nord, che viene qui pensando di trovarsi tra i barbari, senza capire che i veri barbari sono loro».
Tornando al concetto di eroe, vede eroi nella guerra in Ucraina?
«Il concetto dell’eroe lo riservo alla letteratura. Ho passato ventuno anni della mia vita in guerra, vendendo la gente lottare e morire e commettere atrocità. E a volte le stesse persone che commettevano atrocità facevano anche cose buone, e viceversa».
Lei passa molto tempo in mare con la sua barca, conosce qualcosa della Sardegna?
«Certo, ho navigato molto in Sardegna, ho ormeggiato all’Asinara, a Porto Torres, Castelsardo. Ho visto anche Porto Cervo ma non mi piace l’ambiente, lo trovo molto artificiale»
Fonte notizia: La Nuova Sardegna > Homepage
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