SASSARI. Le immagini dell’ospedale Cardarelli di Napoli, con le barelle raggrumate come tante macchine in doppia fila in corridoi striminziti, sono in verità l’immagine di una sanità in crisi su larga scala. Se ci si sposta di latitudine e si guarda in Sardegna, la situazione in certe giornate non è tanto diversa. Stiamo assistendo all’onda lunga di una implosione strutturale del sistema di emergenza-urgenza. La porta di accesso della sanità scricchiola, perché vi si concentra un mix letale di criticità.
Mix letale di problemi. In estrema sintesi il distillato di problemi è questo: tagli devastanti dei posti letto nei presìdi territoriali, centralizzazione degli accessi nei pochi hub sardi, sovraffollamento nel pronto soccorso, mancanza di posti anche nei reparti ospedalieri, difficoltà di smistamento e collocazione dei malati nei letti per acuti. Il famigerato boarding è un limbo ma anche un inferno, nel quale finiscono i pazienti stabilizzati, ma in attesa di ricovero o trasferimento, e anche i medici del pronto soccorso, costretti a prendersene carico. E la spirale che si innesca prevede il sovraffollamento nelle sale dell’emergenza-urgenza, il blocco delle ambulanze all’esterno o delle barelle all’interno, che a loro volta diventano letti temporanei. Quindi carichi di lavoro eccessivi per i medici in organico, stress e burnout, fuga del personale dalle corsie dell’urgenza, impossibilità da parte della dirigenza ospedaliera di sostituirli perché non ci sono specialisti arruolabili sul mercato. Quindi ricorso agli straordinari per i medici operativi, e ancora overdose di lavoro e desiderio di mollare tutto. Insomma un cortocircuito che rischia di minare alla base la prima linea della risposta sanitaria.
Il caso Sassari. «La situazione del nostro pronto soccorso – spiega il direttore sanitario dell’Aou di Sassari Franco Bandiera – tutto sommato è meno peggio di altre realtà. Venti medici in pianta organica, almeno sulla carta, dovrebbero essere sufficienti. Ma poi andiamo a raggiungere punte massime di 170 accessi al giorno, e allora il sistema per forza non regge e le attese diventano di 12 ore».
Nei reparti di medicina d’urgenza, invece, il personale è decisamente insufficiente: «Abbiamo 8 unità, ma di queste purtroppo 3 hanno problemi di salute. In più l’età media è alta, over 50, e parliamo di settori che richiedono un dispendio di energie fisiche e mentali molto elevate. Non c’è ricambio generazionale, e anche se volessimo potenziare l’organico non saremmo in grado di farlo, perché il numero chiuso delle scuole di specializzazione imposto per tanti anni, ha trasformato il medico di medicina d’urgenza in una specie in via di estinzione. E sarà difficile che si presenti qualcuno ad ogni concorso bandito, per i prossimi tre anni, perché ci vorrà ancora tempo prima che le Università sfornino nuovi specializzati. Basta vedere il concorso bandito a Nuoro: è andato deserto».
Medici in affitto. Non a caso la Asl di Oristano è dovuta ricorrere all’esternalizzazione, con un’agenzia di servizi in grado di erogare medici in affitto, in pieno stile call center, per potenziare il triage: «Noi non vogliamo arrivare a tanto – dice Bandiera – perché purtroppo il rischio di assumere medici non specializzati e non formati è alto. Ma le agenzie esterne stanno diventando l’ultima spiaggia di molti ospedali italiani, e se non ci sarà altra soluzione, anche noi dovremo rassegnarci a questo ripiego temporaneo».
I tagli. I numeri sono la cartina di tornasole di una crisi inesorabile. La sottrazione progressiva di risorse umane ed economiche alla Sanità pubblica ha lasciato aperta la sola porta dei Pronto soccorsi per garantire il diritto alle cure. A livello nazionale la sforbiciata è stata questa: in 20 anni chiusi 300 ospedali con 80 mila posti letto in meno. E dal 2007 ad oggi perse 50 mila unità di personale. In più sono sempre meno gli utenti che possono permettersi la sanità privata, e i pronto soccorsi sono diventati degli straordinari ammortizzatori sociali.
La grande fuga. In più sono tanti i medici che decidono di abbandonare la barca che affonda. In Italia sono circa 600 i camici bianchi dell’emergenza e urgenza che nel 2022 hanno scelto di dimettersi, al ritmo di circa 100 al mese. E così sono circa 4.200, i dottori strutturalmente mancanti nei Pronto soccorso nazionali rispetto alle reali necessità.
Crisi vocazioni. Purtroppo non si potrà colmare a breve la carenza cronica. Gli specializzandi che termineranno il percorso di formazione da qui al 2025, che formeranno l’esercito dei potenziali assunti, non coprirà il vuoto della vecchia guardia nel frattempo andata in a pensione. Secondo lo studio del sindacato degli ospedalieri Anaao, nell’arco di 3 anni ci sarà una ulteriore diminuzione di organico di 4mila unità. La colpa è innanzitutto del numero chiuso e dell’imbuto formativo che ha prodotto una gravissima carenza di specialisti. Il Ministero della Salute ultimamente ha aumentato i posti per l’emergenza urgenza sino a 1.100. Ma chi si iscrive resta un panda (come gli anestesisti) da proteggere. Perché qualunque studente sa a cosa sta per andare in contro, e il pragmatismo talvolta prevale sul romanticismo del medico di prima linea: si guadagna poco, non fai attività privata, scarse chance di carriera, clima ostile dei pazienti esasperati, aggressioni verbali, fisiche e legali. Troppe denunce, e poi turni che tracimano, rientri, straordinari, giorni di riposo sacrificati per tappare le carenze, weekend blindati per il lavoro. Ecco perché la scuola di specializzazione della Medicina di urgenza resta una delle poche che non va sempre soldout.
Fonte notizia: La Nuova Sardegna > Homepage
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