SASSARI. Il più “garbato” le ha scritto che la preferiva quando faceva “foto serie e non porcate come queste ultime”. Un altro è andato dritto al sodo: “prova a usare i nostri costumi a vedere dove ti ritrovano” e per farsi capire meglio ha aggiunto “ammazzati, cun fusile”. E poi i vari “fai schifo”, le telefonate minacciose, le ambasciate a casa sua e di una sua amica che l’ha aiutata a realizzare il progetto. Lei si chiama Alessandra Garau, ha 40 anni ed è una fotografa sassarese innamorata della tradizione e del folclore. Da tanti anni racconta con i suoi scatti le sfilate e le processioni in abito tradizionale, esalta la bellezza dei costumi e dei gioielli, insieme alla fierezza dei volti di chi porta avanti con orgoglio la storia e la cultura dell’isola. A un certo punto ha deciso che era arrivato il tempo di osare, di uscire dalle regole prefissate e trasformare in immagine un suo pensiero: ognuno di noi deve esprimersi come vuole e come meglio si sente, senza timore dei giudizi altrui. Un inno alla libertà, contro l’omofobia e contro i pregiudizi verso chi non si adegua a determinati canoni. Ecco allora che l’abito tradizionale sardo viene indossato in maniera “fluida”: gonne lunghe e plissettate da uomini, corsetti a stringere un petto maschile, ma anche donne con su gabbanu, la pesante giacca in orbace che si usava per andare in campagna, e tacchi alti con le borchie abbinati a pantaloni di fustagno. È la tradizione rivisitata nel progetto ARE, «perché molte cose belle nella lingua italiana finiscono con are, come amare, sognare, volare» in cui la R è rovesciata (o meglio riflessa) «perché avevo intuito che qualcosa sarebbe andato storto: infatti pseudo cultori della tradizione non hanno apprezzato le mie immagini. E invece di limitarsi a un rispettabilissimo “non mi piacciono”, hanno iniziato a riempire di insulti e offese me e chi con me ha lavorato. Li ho denunciati tutti alla polizia postale e vado avanti più forte di prima…. ma che tristezza».

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L’amore per la tradizione. Deriva soprattutto da suo nonno la passione che Alessandra prova da sempre verso le tradizioni popolari e culturali della Sardegna. «Si chiamava Pietro Pittalis, era di Olmedo, ci ha lasciato quattro anni fa a 89 anni. Aveva fondato l’associazione Acuvacamus, per tutta la vita si è impegnato per salvaguardare e valorizzare la tradizione. E così anche i miei genitori, che da sempre mi hanno portato con loro alle sfilate, alle feste e alle processioni. Dico spesso di essere cresciuta a “pane e tradizione”, ne vado molto fiera e ho un grande rispetto verso la cultura del nostro popolo. Ho pensato fosse giusto provare a innovare, raccontando attraverso la nostra tradizione un mondo in evoluzione dove ci sono persone che non accettano più di essere come gli altri si aspettano che siano ma vogliono essere liberi di esprimersi. Ho immaginato questo progetto come un inno al rispetto reciproco».

Gli abiti e i modelli. Non è stato facile trovare né gli uni né gli altri. «Devo tantissimo ad Antonella Carta, di Ittiri, che mi ha messo a disposizione diversi pezzi, abiti completi, gonne, bustini e pantaloni. A poco a poco ho trovato le persone a cui farli indossare: uomini e donne, alcuni omosessuali, altri etero particolarmente intelligenti e di mentalità aperta. E il progetto ha preso vita». Una cinquantina di scatti che ritraggono Michele con gonna e copricapo femminile, truccato come vorrebbe poter fare tutti i giorni, e invece a volte si deve trattenere; un altro ragazzo di un centro dell’Anglona con bustino e gonna lunga; Eleonora con i mutandoni di lana e la giacca nera in orbace; Fabrizia con i pantaloni di fustagno, i tacchi a spillo, i bottoni.

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Le reazioni. Le immagini hanno trovato spazio sui social e si sono diffuse velocemente. «Ho colpito nel segno, le foto hanno suscitato tanta curiosità ma anche risvegliato una certa “sardità tossica” da parte di esponenti di una presunta “mascolinità” che si è sentita offesa». Gli insulti sono partiti dopo la prima foto e non si sono mai interrotti. «Tutti ne risponderanno, nel frattempo hanno contributo loro malgrado a fare conoscere ancora di più il mio lavoro». Ed è solo un assaggio, perché le foto di Alessandra su iniziativa del Mos saranno inserite negli eventi di preparazione al Sardegna pride ed esposte negli spazi della biblioteca comunale, in piazza Fiume a Sassari, dal 17 al 24 giugno. «È la mia vittoria – dice Alessandra – verso chi mi insulta provo tanta pena».

Fonte notizia: La Nuova Sardegna > Homepage

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